domenica, aprile 20, 2008

ciò che mi dà

prima, in macchina, pensieri.
fumosa stanza con le pareti ricoperte da assi di legno, il soffitto bianco, un tavolo e delle sedie attorno. le sedie sono nove come nove siamo noi.
siamo lì da un paio d'ore, la partita comincia a prendere il via e le puntate aumentano mano dopo mano, i piatti si fanno più grossi, entrano sempre più soldi in gioco.
la mia serata è iniziata discretamente, con un paio di mani piccole e una vittoria grossa mi sono portato all'incirca a 30 euro in chip.
stiamo giocando a texas hold'em, cash game no limit: non c'è limite di puntata e chi esce, se paga, può rientrare fino all'infinito.
spillo le carte, sono quinto o sesto a parlare, la pupilla mi si contrae e si dilata;
Q Q.
fiori e cuori.
carte buone, tocca a me, rilancio fino a due euro.
le mani fremono, gli occhi mi cercano provando a trovare un segno un'espressione un gesto che suggerisca il motivo di quella puntata. sento i loro sguardi su di me ma non cedo, guardo quello alla mia destra, ora tocca a lui.
passa, come il seguente, come tutti gli altri escluso lo small blind. lui mi guarda, giochicchia con le chip e poi mette i due euro; non sembra troppo infastidito.
rimaniamo solo io e lui, ci studiamo.
le tre carte del flop, sono 9 k 2. tutte e tre di fiori.
tocca a lui parlare, riflette un po'. si vede che quei tre fiorellini non gli piacciono e decide di fare check, la parola va a me. io intanto ci faccio caso, lo guardo ma non so bene cosa possa avere. allora comincio a costruirmi una strada, un percorso, un'idea.
penso che se lui avesse un fiore, come me, mi potrebbe battere solo con l'asso. penso anche che con le mie carte ho la possibilità di chiudere un punto vincente all'incirca una volta su tre.
penso che sarebbe bello se una delle prossime due carte fosse l'asso di fiori.
penso che lui potrebbe avere il k e decido di metterlo alla prova: scorro rapidamente le mie chip, cerco di contarle al volo e di capire quante posso arrivare a metterne nel piatto ora e quante nelle due tornate di puntate successive. decido.
la mia mano posa dolcemente ma con sicurezza 5 euro nel piatto.
lui parla.
- cosa puoi avere?- mi apostrofa.
-un k? non credo. magari punti al colore.- mi guarda.
insicurezza quella che gli leggo negli occhi?
a sua volta copre la mia puntata con 5 euro.
il mazziere poggia sul panno verde un'altra carta, un 8 di picche.
sento il mio labbro inferiore scivolare in una impercettibile smorfia di disappunto.
lo guardo. check, di nuovo, mi lascia parlare.
penso che devo andare avanti così, ho deciso che lui non ha colore e se punta ad averlo non può battere il mio. ha un k in mano, ora lo so.
penso che siamo in un tavolo costituito da nove persone e qui i punti chiudono con maggiore probabilità. penso che ci sono ancora due Q e sei o sette fiori che mi permetterebbero di battere il suo k.
allora altri 5 euro.
lui mi guarda, ora tituba seriamente, sto puntando forte per i nostri standard, non è torneo, sono 5 euro che mi gioco per davvero.
tituba ancora un po', mi guarda, è in difficoltà.
farfuglia qualcosa, qualche "potrebbe essere che hai già colore" o "che ci puoi avere?". giunge alla conclusione che ce li deve mettere.
si gira la quinta carta, Bloody River.

la carta non è un fiore, me ne accorgo prima ancora che venga girata del tutto; sento già la disperazione assalirmi quando la vedo.
ma è la terza dama, la Q di quadri.
tiro il collo inclinando la testa ora da un lato, ora da un'altro. fossimo ad alti livelli qualcuno avrebbe potuto rilevare la mia tranquillità da quel gesto. ma lui no.
check. ancora. è stato il suo errore, lasciare che guidassi io il gioco, che lo costringessi a mettere nel piatto i soldi che Io volevo mettesse.
sento uno che dalla mia destra mi dice:
-altri cinque euro adesso?-
non lo guardo nemmeno, ho gli occhi fissi sul viso del mio avversario perchè mi voglio godere la sua sconfitta, voglio registrare nella mia mente ogni singolo gesto di disperazione quando si renderà conto di cosa è successo.
guardo le mie chip, non penso nemmeno, so già cosa devo fare.
10 euro.
spostando i soldi, per un attimo mi assale il dubbio di aver sbagliato a leggere la sua mano, ho paura di due fiori che potrei non aver calcolato.
ma non è così, lo so.
tituba, riflette, si contorce.
le sue mani fremono sulle chip e con incertezza le spostano al centro del tavolo.
sto quasi per girare le carte, quando lui mi stupisce. è sicuro di aver vinto, mi guarda sorridente e, girando le carte, dice:
-io ho la coppia più alta- e così dicendo gira un k di quadri, -con il kicker più alto- e scopre un asso di cuori.
-non credo tu possa avere più di me, non hai colore.-
mi prendo il mio tempo, come ad assaporare tutti i miei meriti.
-infatti- sorrido.
lui le vede e le sue spalle si abbassano, gli occhi si tirano e il gargarozzo va su e giù nell'ammutolimento generale. mastica asciutto, un po' di saliva giunge in suo aiuto, l'intero viso si muove per il disagio.
con calma raccolgo le mie chip, sorrido e sento dentro di me l'adrenalina sfondare ogni resistenza facendomi vibrare.
ho vinto, ho fatto una gran giocata.
di più, ho capito lui e l'ho domato. nessuno me lo può togliere.