lunedì, febbraio 27, 2006

Due a zero al derby con la lazio, undicesima vittoria consecutiva anche senza il Capitano: daje Roma, sto rosto!!!

mercoledì, febbraio 22, 2006

far mattina

pling pling,
gocce di pioggia sul vetro
mi bagnano la notte
e non mi lasciano tranquillità

plick plick
goccioloni più forti
mi danno il tormento,
non riesco a dormire

splick splock
ancora gocce,
la bottiglia giace vuota
ai piedi del mio letto

che sbronza.

lunedì, febbraio 20, 2006

le scarpe nuove

-C'è qualcosa che non mi convince in quelle scarpe- disse Anna a suo figlio. Il bambino guardò in basso, verso i suoi piedi. Mosse il destro, prima a destra e poi a sinista e tornò nuovamente sul volto di sua madre.
-Perchè? Sono bellissime!-
-Ma Hanno i lacci... Poi le tieni sempre slacciate perchè non vuoi imparare a fare il nodo.-
-Come facco ad imparare se non mi insegni?- Mugolò in tono lamentoso, cercando di impietosire la madre.
Erano usciti assieme quel giorno. Fuori c'era un bel sole primaverile che illuminava tutta la città. Avevano deciso di fare un giro al parco, ma le scarpe del bambino erano tutte rovinate e sua madre aveva tanto insistito per trovarne di nuove, così si erano infilati nel primo negozio di calzature che avevano trovato. Era sempre difficile trovare qualcosa che piacesse ad entrambi. Lei voleva trovare qualcosa che stesse all'interno di certi canoni, soprattutto di prezzo; in quel periodo i soldi non erano mai abbastanza e con il lavoro non andava benissimo, così si era ritrovata a dover tirare un po' la cinghia su ogni cosa.
-E poi le scarpe con gli strappi non mi piacciono più, sono da bambini!-
-Ma amore, hai sei anni, tu sei un bambino.-
-Vabbè, ma gli altri a scuola hanno tutti i lacci.-
-Ah va bene, ma poi non chiedermi ogni volta di legartele perchè non sei capace.- Disse tirando un sospiro.
-Grazie!- Ora l'aveva reso felice. E quel tenero faccino così allegro e spensierato le stringeva ogni volta il cuore e vederlo così sereno rendeva felice anche lei.
Pagarono e uscirono per andare al parco. Il bimbo aveva indossato subito le scarpe nuove: erano bianche ai lati, con la suola blu e una fascia centrale gialla. Le vestiva con un certo orgoglio, quasi fossero ricoperte d'oro e dentro di sè non vedeva l'ora di poterle mostrare ai suoi amici.
Fecero un giro nel verde e poi si misero a giocare con la palla per un po', finchè il bimbo non trovò degli amichetti e lei si sedette su una panchina a guardarli. Stare ad osservarli le faceva tornare alla mente quando anche lei, piccola e spensierata, con le trecce e i vestitini giocava con gli altri bambini. Quando si girava verso sua madre lei era sempre lì a fissarla e a sorridere. La faceva sentire protetta e ora sperava che anche per suo figlio fosse così.
Le altre mamme erano ricche, si atteggiavano da grandi signore attorno a lei, disperandosi ogni volta che la loro prole cadeva:
-Attento Marco- oppure -Non correre Giovanna, rischi di farti male.-
-Ma come si fa a dire di non correre ad un bambino?- Si domandava Anna, -E' come chiedere al sole di non splendere o ai fiumi di arrestarsi!-
Le altre mamme erano così, iperprotettive e ansiose. Per loro non era naturale che i loro figli avessero tanta voglia di correre, saltare o giocare. Preferivano vederli assorti ed immobili davanti alla televisione, come tanti piccoli zombi costretti ad ingurgitare spazzatura.
Verso le sei il sole cominciò piano piano a calare, gli amichetti e le madri erano fuggiti per paura di esser sorpresi dal freddo e dal buio; -Veloce Nicola che tra un po' cala il sole e sei tutto sudato: rischi di prenderti la polmonite!- Aveva detto una di loro.
Li avevano portati via uno ad uno interrompendo quel lieto momento e sul viso dei bimbi si poteva leggere tutta la delusione per la prematura fine dei loro gochi, a casa poi li avrebbe attesi una calda e odiata minestrina. Ma Anna aveva in programma di far mangiare a Claudio, suo figlio, la pizza: lui la adorava. La adorava così tanto che già da quando aveva tre anni se ne divorava una intera tutta da solo.
In pizzeria ordinarono una margherita per lei e una diavola per lui da portare via.
-Sono soldi buttati.- Pensò, ma poi guardando negli occhi il suo bambino rivide quella gioia che cancellava ogni dubbio.
Claudio fece un giro tra i tavoli guardando gli avventori di quel locale rustico. Qua e là famigliole e coppiette consumavano il loro pasto con aria soddisfatta circondati da spighe di grano appese con un fiocco rosso alle pareti rivestite di legno e fiori luminosi posti in dei lunghi e colorati vasi di porcellana. Il bancone era macchiato dai numerosi bicchieri di vino o di birra che vi erano stati posati sopra e ogni tanto un donnone col grembiule bianco passava lo straccio goffamente lì sopra per togliere il grosso delle zozzerie che ne infestavano la superficie.
A casa mangiarono le loro pizze in silenzio, Claudio era stanco per i suoi giochi e pure Anna non vedeva l'ora di infilarsi sotto le coperte, avvolta in un limbo morbido morbido.
Era contenta per la giornata passata con suo figlio, era da più di due anni che non uscivano così tranquillamente assieme, da quando suo marito...

venerdì, febbraio 10, 2006

1

La musica proveniente da uno stereo da qualche parte nella casa mi si assorbe nella testa. Mi alzo e mi scuoto per svegliarmi. Esco dalla camera e osservo un attimo i ragazzi in cucina.
-Ben svegliato cazzo, sono le tre e mezza.-
Mugugno un saluto ed entro in bagno, l'acqua fredda mi dà una botta di vita che dura un attimo per lasciare di nuovo posto al torpore.
Sprofondo su una sedia libera della stretta cucina in cui, stipati, gli altri parlano del più e del meno scoppiando in sonore risate che mi rimbombano nella testa costringendomi a chiuderla tra le mani per fermare le vibrazioni.
Raccatto una nastrina dal mobiletto che mi sta in basso sulla destra; la torsione mi obbliga ad inclinare lievemente il capo che esplode di dolore.
Dieci minuti dopo sono sveglio, vestito e pronto ad uscire.
Sul marciapiede l'aria mi sfregia il naso come una tagliente lama di ghiaccio; mi copro il viso il più possibile con la sciarpa e prendo la mia via.
Mentre aspetto che Dario scenda sotto casa sua cerco di sputare nei cerchietti di fumo che io stesso faccio, con enorme disappunto dei passanti che disgustati mi lanciano occhiatacce. uno di questi, un vecchio mi guarda fisso. Gli pianto gli occhi addosso e tendo i muscoli della mandibola sfoggiando lo sguardo più freddo che sia in grado di fare.
Dario scende, mi guarda, ride. Si è appena svegliato e, per strada, finisce una merendina.
-Oggi?- mi chiede dimostrando di non avere nessun interesse alla risposta.
-Andiamo da Jaco, non ha nessuno che gira per casa e possiamo stare tranquilli.-
-Bella.- Il suo interesse non è aumentato.
Da Jaco osservo lo sfarzoso arredamento con non poca ammirazione. Dopotutto è uno dei pochi non fuorisede che conosco qui e vive con suoi. Per certe cose lo invidio anche se l'opportunità di vivere fuori casa per studiare è una cosa grandiosa.
Ci accomodiamo attorno al possente tavolo di legno posto al centro del salotto; la stanza è lucente e arredata con mobili e soprammobili d'ogni genere. Comincio a girare una canna prendendo un po' d'erba dalla mia scorta personale: non spaccio, non che abbia particolari problemi a riguardo, ma non mi va. Appena finita la chiudo e mi soffermo a guardarla ammirato: un'opera d'arte! La accendo e ne assaporo subito il gusto prelibato che soffio poi fuori in una nuvola di piacere, tenendo gli occhi chiusi per non perdere nessuna particella aromatica di quel capolavoro.
-Stamattina ho visto "2001:Odissea nello spazio". M'ha lasciato a bocca aperta, sarà pesante ma è il film più incredibile che abbia mai visto.- Fisso Jaco ad occhi spalancati e Dario mi precede per un nanosecondo nell'esclamare:
-Ma sei scemo?! Come cazzo fai a vederti quel film appena sveglio? Ma dico io, non potevi trovare qualcosa di, non so, più attivo?!-
-Ma no! Voi non ne capite proprio niente. Anzi, sapete cosa vi dico? Ce lo vediamo! Ora!-
L'apertura dei miei occhi aumenta, li sento uscire piano piano dalle orbite.
Più o meno quattordici secondi dopo siamo comodamente immersi nel faraonico divano davanti allo schermo su cui il film è proiettato da un aggeggio appeso al soffitto.
Un viaggio mistico. Sarà l'erba, sarà il film, ma le immagini create da Kubrick mi portano a pensieri mai provati prima e in luoghi reconditi a cui la mia mente non era mai arrivata. Sento di aprirmi piano piano al mondo e uno sguardo agli altri due mi fa capire che è così anche per loro.
Centorentuno minuti dopo il film è finito lasciandoci finalmente al nodo di una discussione che ci portiamo dietro da ormai troppo tempo: organizzare questo nostro stramaledetto viaggio. Il freddo di febbraio finirà presto, l'idea è di partire per il venticinque marzo, scendere in treno fino a Palermo e da li girare tutta la Sicilia. Pochi soldi ma tanta voglia di partire e lasciarsi dietro un'infinita ed infernale sessione d'esami.

giovedì, febbraio 09, 2006

importantissimo

cavoli quasi mi dimenticavo di una cosa fondamentale:

QUESTO BLOG RIPUDIA OGNI FORMA DI FASCISMO E DI RAZZISMO!!

martedì, febbraio 07, 2006

volti notturni

Dove sei ch'io ti possa prendere
e portare un po' nel mio mondo,
a me per primo oscuro, per apprendere
ogni mio pensiero piu profondo
e donarci attimi di pace
nell'unico atto ancora estremo;
la morte nera tace,
da lei in silenzio ci allontaneremo

corpo su corpo in spasmi di sudore
consumeremo ardentemente il nostro "amore"
infliggendoci a vicenda nuova vita
perchè questa storia lì è finita

notte

volo tra campi deserti
cerco qualcosa ma chi
o che non so cosa...
amo sentir voci che,
fasulle, non servono
a nulla.
grandiosità celesti mi
s'avvolgono intorno senza
pace di nessun respiro.
sospiro. penso a tramonti
travolti da cumuli di
nuvole: cirri e altocumuli
m'affiocano la vista
che procede a stenti
verso l'infinito

senza titolo

Viverti in lunghi passi
di parole
m'ha stravolto
nel bene e nel male.
Una freccia nel cuore
punge cupidica
l'origine dei sentimenti
tutt'ora appannati.

E' l'amore,
sconvolge e stranisce
i miei pensieri
rivolti ad ogni dove.

Ovunque ripesco il lucente
sguardo che sorridente
m'impaurisce
della tua presenza.

lunedì, febbraio 06, 2006

Incroci le gambe,
le raccogli sulla sedia.
Guardo il tuo volto
senza trovare gli occhi
per via dei capelli,
ti passo vicino; devi
notarmi assolutamente ora..
incrociamo improvvisamente
i nostri immobili sguardi.
perplesso t'abbozzo un sorriso
nel rossore più totale
e non capisco
se tu, roscia, rispondi.
Imbarazzato riprovo
lo sguardo, sei sparita
Posso darti solo sguardi
e parole senza voce,
non riesco ancora ad
immaginare dialoghi più belli
di quelli di un sospiro.
Vorrei sentire quei capelli,
vorrei baciare quel sorriso,
vorrei saper sostenere il tuo sguardo
ma ancora non è l'ora,
quella arriverà, vedrai.
Aspetto.

primi tempi 2

Mi sveglio. E' giovedi tredici. E' tardi. Mi alzo e mi vesto di fretta, salto di marciapiedi in marciapiedi, veloce.
Corteo.
E' tardi, arrivo davanti alla Minerva con cinquanta minuti di ritardo.
E' tardi ma sono ancora lì.
Mi guardo attorno, nessuna faccia nota. Lei non c'è e me l'aveva detto; l'ultima volta è stato Addio.
Mi guardo attorno, non conosco nessuno. Nel dubbio mi attacco al gruppo di lettere.
Mi aggrappo a loro per bisogno.
Sfioro ragazzi e ragazze, facce già viste. Non so chi siano. Facce con un profilo preciso e deciso. Li Sento.
Forse, dico forse, comincio a sentirmi... leggero.
Partiamo; slogan voci parole sorrisi grida applausi musica. Il corteo è tutto questo.
Ma non solo.
Rabbia protesta partecipazione lotta. Può essere anche questo.
E il venticinque lo sarà, ma ancora non lo so.
La città universitaria ci guarda sfilare forte della sua epoca fascista e noi rispondiamo allo sguardo.
Seguo lo striscione di lettere cercando di capire quanti siamo. Pochi. Dopo cinque passi siamo una marea. Mille duemila cinquemila. Per me siamo tantissimi.
Per Roma siamo niente.
Usciamo percorrendo strade che non ci aspettano. Volantini piovono nei finestrini dei tram bloccati. Al Verano non vedo nè la nostra fine nè il nostro inizio. Ma siamo sempre pochi, niente.
Mi sale un calore interno, mi sento parte di qualcosa anche se ancora non lo sono.
Loro ci aspettano su un lato di termini perchè non ci vogliono far sentire fuori dalla città universitaria.
Ci fanno perdere tempo, ci rallentano. E' tutta strategia, indietreggiano. Ci bloccano su un lato di Termini.
Riescono a deviarci, ci accerchiano. Siamo bloccati.
Mani alzate, volti scoperti. Poca rabbia oggi. Niente scontri. Rientriamo

primi tempi 1

Apro gli occhi. Davanti a me la penombra dell'aula 6. Voci. Estranei. Non è qui il punto giusto.

Apro gli occhi. Abbiamo appena disoccupato, un ciclo si è appena concluso lasciando il vuoto. Sto male perchè era casa e ora è solo scuola, università, gabbia.
Ma questa è la fine, devo andare all'incipit di questa storia.

Apro gli occhi. E' martedi 11 ottobre. Le nove di mattina. Ho lezione? No, sono appena arrivato, ho fatto il test giovedi scorso. Che devo fare? Devo svegliarmi e capire perchè ho piazzato la sveglia.
Bagno.
Acqua fredda.
Devo richiedere il tutor. Mi devo muovere, rischierei di vederla e non è ancora tempo. Due giorni all'addio, so che è Addio.
Scendo le scale con una merendina in bocca. Ho ancora l'alito di merda del buongiorno.
Guardo le facce da stronzi che mi sfilano accanto. Non li vedrò mai più, forse.
Sono le facce della grande città. Ed è il lato migliore di Termini. Passo di fianco a poliziotti e carabinieri di ogni tipo; di sicurezza, di ronda, di controllo, coi cani, ferroviari, della metropolitana. Nessun effetto, persone. Affretto il passo, devo essere veloce. La metro mi fa aspettare.
Getto sguardi alla marea eterogenea di persone che mi fa compagnia nell'attesa.
Il silenzio del vociare è da sfondo.
Il lettore cd portatile è il mio dialogo e il mio confidente.
Va bene così.

Sono fuori, davanti al policlinico. Cammino anzi no corro. Sfioro studenti che seguono la mia direzione, sfioro una macchina. Volo sul marciapiedi fino alla città universitaria ed entro quasi di soppiatto guardando di sottecchi ovunque.
Scruto facce e le scarto. Non voglio vederla. Non ancora.
Lettere è aperta, occupata ma aperta; me lo dice uno striscione che troneggia sopra l'ingresso.
In fondo al corridoio centrale un gruppo di ragazzi parla, urla, applaude. Gli occupanti sono in assemblea.
Salgo le scale, non li guardo, non li ascolto.
Non capisco.
Terzo piano, il gabbiotto è chiuso per l'occupazione.
Non capisco.
Scendo, li guardo, li ascolto:
-... protestare perchè questa riforma non ci appartiene (sii, brava!) come non ci apparteneva la precedente...- si sgola una ragazza raccogliendo consensi. Confusione nella mia testa. Non ne afferro i motivi ma mi piace. Ascolto, mi muovo, me ne vado.
Esco e il sole mi abbaglia. E' il primo giorno di occupazione e finalmente è tornato il sole.
M'incammino velocemente verso casa, mangio. Sono solo. Dieci giorni che non esco. Vita sociale inesistente. Vuoto.

chi sono io?

in realtà non so chi sono io,
son qui da troppo poco
per averne fatta la mia vita,
ma da abbastanza
da riconoscerne casa...

ti porterò nelle mie storie
se ne avrò da raccontare,
ma quelle mi dispiace vengon da sole

intanto, buon quello che è